LA CORTE DEI CONTI
    Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza sul ricorso iscritto al n.
 C/261 del registro di segreteria, proposto da Maccioni Giuseppe, nato
 a Ollolai (Nuoro) l'8 gennaio 1911, avverso la nota-provvedimento del
 Ministero dell'interno n. 800/0333 del 16 settembre 1982.
    Uditi  alla  pubblica udienza del giorno 16 marzo 1989 il relatore
 consiliere Enrico Passeroni, e difensore del ricorrenrte avv.  Tomaso
 Palermo   nonche'  il  pubblico  ministero  nella  persona  del  vice
 procuratore generale Giuseppantonio Stanco.
    Esaminati gli atti ed i documenti della causa.
                           RITENUTO IN FATTO
    Con  istanza  datata  20 maggio 1982 il sig. Maccioni Giuseppe, ex
 capitano del corpo  delle  guardie  di  P.S.,  cessato  dal  servizio
 permanente  effettivo  dal  9 gennaio 1965 (Collocato nella riserva a
 decorrere dal 9 gennaio 1973 e titolare di  pensione  preivilegiata),
 chiedeva   al  Ministero  dell'interno  che  il  proprio  trattamento
 pensionistico fosse riliquidato con effetto dal 1› febbraio 1981,  ai
 sensi  dell'art.  26 del d.-l. 6 giugno 1981 n. 283, convertito nella
 legge 6 agosto 1981, n. 432, e cioe' assumendo come base pensionabile
 quella  corrispondente  alle nuove retribuzioni del personale statale
 stabilite con le leggi 11 luglio 1980, n. 312 e  6  agosto  1981,  n.
 432.
    Con  nota  n. 800/0333 C.S. 2085 del 16 settembre 1982 il predetto
 Dicastero comunicava al Maccioni che  la  sua  richiesta  non  poteva
 essere accolta, in quanto egli era cessato dal servizio anteriormente
 alla  data  di  efficacia  giuridica  ed   economica   delle   citate
 disposizioni di legge.
    Avverso   la   indicata   pronuncia  amministrativa  l'interessato
 proponeva ricorso a questa Corte con atto pervenuto  alla  segreteria
 della  quarta  sezione  centrale giurisdizionale il 21 gennaio 1983 e
 successivamente rimesso per  competenza  a  questa  sezione  divenuta
 competente  alla  prosecuzione del processo, ai sensi degli artt. 2 e
 11 della legge 8 ottobre 1984, n. 658. Con tale mezzo di  gravame  il
 ricorrente  sosteneva che l'impugnata determinazione ministeriale era
 frutto di una inesatta interpretazione delle leggi  suindicate,  alle
 quali  doveva  attribuirsi  un significato piu' aderente ai princi'pi
 costituzionali cosi' da applicarle anche ai  dipendenti  dello  Stato
 collocati  in  quiescenza  anteriormente  alla decorrenza (1› gennaio
 1979) del triennio contrattuale 1979-81, cui esse si  riferiscono.  A
 sostegno di detto assunto veniva invocato il principio del necessario
 adeguamento delle pensioni ai miglioramenti  economici  spettanti  al
 personale   in   servizio  e  con  le  stesse  decorrenze,  principio
 desumibile anche dalla sentenza della terza sezione di  questa  Corte
 n. 49970 del 28 aprile 1982.
   Essendo  stato  in  tal  modo  introdotto  il  presente giudizio il
 procuratore generale formulava conclusioni con atto depositato il  29
 settembre  1987, col quale chiedeva il rigetto del ricorso sulla base
 delle  seguenti  considerazioni  a)  nel   vigente   ordinamento   il
 trattamento   di  quiescenza  va  liquidato  sulla  base  dell'ultimo
 stipendio percepito (vedi art. 43  del  t.u.  29  dicembre  1973,  n.
 1092),  al quale esso rimane agganciato salvi i singoli provvedimenti
 che  il  legislatore  adotti  per  categorie,   tempi   e   modi   di
 riliquidazione  di  volta  in  volta  previsti;  b)  unica  norma  di
 permanente e generale perequazione delle pensioni in base  ad  indici
 determinati  di anno in anno, comunque svincolata dal trattamento del
 personale in servizio, e' quella introdotta  dalla  legge  29  aprile
 1976,  n.  177, della quale ha beneficiato anche il ricorrente per la
 sua automatica applicazione: qualunque diversa pretesa di adeguamento
 non  sarebbe sorretta da alcuna previsione normativa e si porrebbe in
 contrasto con il predetto sistema generale.
    In  data  17 agosto 1988 il Maccioni depositava una memoria con la
 quale insisteva nella richiesta di riconoscimento  del  diritto  alla
 riliquidazione  della  propria  pensione  per  via di interpretazione
 delle leggi  nn.  312/1980  e  432/1981  nonche'  per  l'applicazione
 dell'art.  2  della  legge  n.  177/1976  a  partire  dal  1978 ed in
 subordine sollevava questione  di  costituzionalita'  assumendo  che,
 avendo   la   pensione   carattere   di  retribuzione  differita,  la
 discrezionalita' del legislatore deve rispettare il  principio  della
 sua  proporzionalita'  alla qualita' e quantita' del lavoro prestato,
 previsto dall'art. 36 della Costituzione, in modo da  assicurare  nel
 tempo   un'esistenza   libera   e  dignitosa;  che  il  principio  di
 uguaglianza di cui all'all'art. 3 della Costituzione  esige  che  non
 possono   essere   diversificati   i   trattamenti  pensionistici  di
 dipendenti i quali abbiano svolto uguali prestazioni  lavorative,  in
 ragione  soltanto  di dati anagrafici, cioe' dalla data di cessazione
 del servizio con la creazione del fenomeno  delle  c.d.  pensioni  di
 annata  generato dalla mancata applicazione dell'art. 2, della citata
 legge  n.  177/1976;  che  il  contrasto  con  gli  indicati   canoni
 costituzionali non e' risolto dalla legge 17 aprile 1985, n. 141, con
 cui e' stata attuata soltanto una limitata perequazione.
    Alla  pubblica  udienza  il  difensore  conformava  la  domanda di
 adeguamento della  pensione  spettante  al  Maccioni  al  trattamento
 economico  del  personale  della  Polizia di Stato in servizio, sulla
 base   dei   princi'pi   contenuti   nella   sentenza   della   Corte
 costituzionale  n.  501  del 21 aprile-5 maggio 1988 e nella sentenza
 delle sezioni riunite della Corte dei conti n. 76-C del  14  novembre
 1988; sosteneva inoltre che la riliquidazione delle pensioni non puo'
 essere limitata ai dirigenti civili e militari  dello  Stato  cessati
 dal  servizio  successivamente  al  1›  gennaio  1979,  come disposto
 dall'art. 3 del d.-l.  16 settembre  1987,  n.  379,  convertito  con
 legge  14 novembre 1987, n.  468, formulando le seguenti conclusioni:
      1)   in   via   principale,   l'accoglimento   del  ricorso  con
 rivalutazione del credito, interessi e spese di giustizia;
      2)   in   via  subordinata  la  incidentale  proposizione  della
 questione di incostituzionalita' degli artt. 1, 24 e 25  della  legge
 11  luglio  1980,  n.  312, nonche' degli artt. 21, 24, 16 e 17 della
 legge 6 agosto 1981, n. 432, ed  infine  dell'art.  3  del  d.-l.  16
 settembre  1987,  n. 379, convertito nella legge 14 novembre 1987, n.
 468, per contrasto con gli  artt.  3,  36  e  38  della  Costituzione
 nonche'  degli  artt.  23  e  25  della  dichiarazione universale dei
 diritti dell'uomo.
    Il   procuratore  generale,  in  sede  di  discussione  orale,  ha
 parzialmente modificato  le  conclusioni  scritte  sostenendo  quanto
 segue:
       a)  la  sentenza  della  Corte  costituzionale  n.  501/1988 ha
 affermato  nella  motivazione  un  principio  di  adeguamento   delle
 pensioni  alla  dinamica delle retribuzioni del personale in servizio
 di pari qualifica, ma nel dispositivo ha, di detto  principio,  fatto
 un'applicazione  limitata  alla particolare situazione riguardante il
 personale di magistratura e derivata dalla legge 6  agosto  1984,  n.
 425;
       b)  la pronuncia di incostituzionalita' riguarda unicamente gli
 artt. 1, 3 e 6 della legge 17 aprile 1985,  n.  141,  in  quanto  non
 hanno previsto una riliquidazione dei trattamenti di quiescenza sulla
 base della succitata legge n. 425/1984, facendo  comunque  salvi  gli
 effetti  prodotti  da  ogni  altra  disposizione  di legge fino al 1›
 gennaio 1988, per cui non  puo'  da  essa  dedursi  un  principio  di
 adeguamento  automatico  permanente e generale per tutti i dipendenti
 dello Stato;
       c)  il  ricorso  sarebbe  percio' da respingere alla luce della
 normativa  vigente,  ma  puo'  essere  proposta,  alla  stregua   dei
 princi'pi  di cui alla menzionata sentenza n. 501/1988 e dei problemi
 di interpretazione che essa pone, la questione  di  costituzionalita'
 del succitato art. 3 della legge n. 468/1987, in quanto non perde una
 generale riliquidazione delle pensioni.
                             D I R I T T O
    La  domanda, originariamente proposta col ricorso introduttivo del
 presente  giudizio,  tende  ad  ottenere  la   riliquidazione   della
 pensione,  spettante  al  sig. Maccioni Giuseppe, quale ex dipendente
 statale appartenente al corpo delle guardie di P.S. sulla base  delle
 retribuzioni  previste a favore del personale in servizio dagli artt.
 16 e segg. del d.-l. n. 283/1981  convertito  con  modificazioni  con
 legge  n.  432/1981 e percio' previo inquadramento virtuale nei nuovi
 livelli  retributivi  e  nelle  classi  di  stipendio  (ai  fini   di
 quiescenza   e   con  effetto  dal  1›  febbraio  1981)  nonche'  con
 riferimento  alla  anzianita'  maturata,  secondo  la  struttura  del
 trattamento economico gia' introdotta dagli artt. 24 e (relativamente
 al personale militare) dall'art. 137 della legge 11 luglio  1980,  n.
 312.
    A  sostegno  della pretesa viene invocata l'applicazione dell'art.
 26 del citato d.-l. n. 283/1981. Senonche'  detta  norma  prevede  un
 siffatto  procedimento  di  riliquidazione limitatamente al personale
 cessato dal servizio "nel corso di vigenza del triennio  contrattuale
 1979-1981 decorrente dal 1› gennaio 1979" e su tale inequivoco limite
 temporale esclude che essa  possa  essere  estesa,  in  via  di  mera
 interpretazione  giurisprudenziale,  a  qualsiasi altra situazione di
 quiescenza anteriore:  non  puo'  infatti  sostenersi  ne'  che  essa
 esprima  in  principio  di  carattere  ed  ambito generale ne' che le
 posizioni dei  dipendenti  cessati  dal  servizio  prima  della  data
 suindicata  (costituenti  fra  l'altro  la  parte  numericamente piu'
 rilevante dei pensionati) non fossero  presenti  al  legislatore  nel
 momento  in  cui e' stata dettata la disciplina in argomento, dal che
 deve dedursi che esse sono state volutamente escluse  dall'ambito  di
 applicazione  del  citato  procedimento  riliquidativo  e  dal  nuovo
 sistema retributivo.
    Conseguentemente  deve darsi ingresso all'esame della questione di
 costituzionalita' sollevata, con diverse angolazioni, anche  riguardo
 alle citate norme.
    Poiche' il ricorrente lamenta proprio il non assoggettamento della
 propria pensione a riliquidazione sulla base della nuova struttura  e
 progressione  degli stipendi in relazione alla data in cui cesso' dal
 servizio (9 gennaio 1965), deve senz'altro affermarsi che il presente
 giudizio non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione
 della proposta incidentale eccezione.
    Ma  va  anche considerato che la domanda giudiziale ha subi'to nel
 corso del processo alcune specificazioni fino ad apparire rivolte  ad
 ottenere,   non   solo   l'applicazione   dei   benefici  di  cui  ai
 provvedimenti legislativi del 1981, ma piu'  ampiamente  il  costante
 adeguamento  del  trattamento  di quiescenza al trattamento dovuto in
 servizio a fronte della corrispondente posizione di stato giuridico e
 di carriera.
    Indipendentemente  dalla  definitiva pronuncia sull'ammissibilita'
 di tale piu' ampia  richiesta  -  ai  fini  della  quale  non  potra'
 prescindersi  dal  considerare  che  il rapporto pensionistico non si
 esaurisce in unica prestazione e si  sviluppa  attraverso  situazioni
 destinate   a  mutare  nel  tempo  -  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale introdotta in causa appare comunque rilevante, per  la
 decisione  che  questo  giudice  deve rendere, relativamente sia alle
 norme anteriori, ma aventi carattere generale e permanente, sia  alle
 norme  successive a quelle specificatamente invocate in quanto con le
 prime interferiscano spiegando concreti effetti  sulla  misura  della
 pensione  di  cui  e'  controversia  o  in  sostituzione  dei pretesi
 miglioramenti  o   perpetuendo   ed   aggravando   il   diniego   dei
 miglioramenti stessi, agendo su un trattamento di quiescenza gia' non
 adeguato a corretti livelli retributivi.
    Il  primo e' il caso degli artt. 1 e 2 della legge 29 aprile 1976,
 n. 177, uniche  norme  che  abbiano  introdotto  nell'ordinamento  un
 principio  di  costante  e  generale  adeguamento  delle pensioni del
 settore  pubblico  ai  trattamenti  economici  delle  categorie   del
 personale  in  servizio,  mediante  l'automatica  applicazione  di un
 indice di incremento da stabilirsi con decreto del  Presidente  della
 Repubblica.
    Il  principio,  se  attuato,  sarebbe  stato da solo sufficiente a
 soddisfare  la  pretesa  del  ricorrente,  indipendentemente  da   un
 procedimento  di  riliquidazione  implicante  l'assunzione  di  nuovi
 elementi  di  calcolo  (rideterminazione  della  base  pensionabile);
 senonche'  gli  stessi  artt.  2,  secondo comma, e 3, della legge n.
 177/1976 e successivamente gli artt. 18 della legge 21 dicembre 1978,
 n.  843,  e 14, quinto comma, del d.-l. 30 dicembre 1979, n. 663, nel
 testo sostituito dalla legge di conversione 29 febbraio 1980, n.  33,
 ne  hanno,  prima  in  via  transitoria  e  poi  in  via  permanente,
 paralizzato l'attuazione, collegando  la  prequazione  automatica  ad
 indici  assolutamente  empirici o comunque non dedotti dalla dinamica
 delle retribuzioni del personale in servizio per le varie  categorie.
    La  norma  piu'  recente prevede infatti aumenti annuali in misura
 percentuale pari alla differenza tra la variazione  dei  tassi  delle
 retribuzioni  degli  operai  dell'industria e la variazione del costo
 della vita ex art.  10  della  legge  3  giugno  1975,  n.  160,  ivi
 richiamata.
    Per  quanto  riguarda  la  normativa  successiva  al 1981, occorre
 menzionare da un  lato  le  disposizioni  di  legge  settoriali  che,
 autorizzando  la  spesa  relativa  all'applicazione  di contratti tra
 Governo e sindacati in materia di benefci economici del personale  in
 servizio  della  Polizia di Stato, non ne hanno esteso gli effetti ai
 pensionati gia' appartenenti alla stessa categoria  (legge  20  marzo
 1984,  n. 34, per il periodo contrattuale 1› gennaio 1982-31 dicembre
 1984 e con decorrenza 1› gennaio 1983; d.-l.  21  dicembre  1987,  n.
 387,  convertito nella legge 20 novembre 1987, n. 472, per il periodo
 contrattuale 1› gennaio 1985-31 dicembre 1987  e  con  decorrenza  1›
 gennaio  1986); dall'altro quelle altre disposizioni, di applicazione
 generale e  quindi  applicabili  al  caso  in  esame,  le  quali  nel
 dichiarato  intento  di  attuare  una  perequazione  dei  trattamenti
 pensionistici dei pubblici dipendenti, hanno stabilito incrementi  in
 misura e secondo criteri non rapportati alla dinamica degli stipendi.
    Fra  queste  ultime  rientra  la legge 17 aprile 1985, n. 141: gli
 artt. 1, primo e secondo comma, e 6, stabiliscono,  infatti,  aumenti
 in  misura  percentuale  e  fissa,  diversificata  seconco le date di
 collocamento a riposo degli  interessi  (date  tutte  anteriori  alla
 decorrenza  giuridica  degli inquadramenti nelle qualifiche e livelli
 soprammenzionati e cioe' al 1›  gennaio  1978),  con  riferimento  ai
 comparti  di appartenenza e scaglionati con diverse decorrenze dal 1›
 gennaio  1984  al  1›  luglio  1987;  l'art.  7  prevede  invece   la
 riliquidazione,  con  decorrenza  1› gennaio 1986l dei trattamenti di
 quiescenza del personale  collocato  a  riposo  successivamente  alla
 suindicata  data  secondo  le  norme  del d.-l. n. 283/1981, ma detto
 limite  cronologico  impedisce  ancora  una   volta   l'accesso   del
 ricorrente  al regime giuridico preteso col ricorso e costituisce una
 nuova ragione della discriminazione, di cui egli si duole (vedi anche
 in  senso  non  risolutivo  l'art. 1 della legge 23 dicembre 1986, n.
 942) sotto l'aspetto della diversita' concettuale e pratica esistente
 tra  meri  incrementi  delle pensioni e riliquidazioni sulla base dei
 nuovi assetti di carriera e di  sviluppo  economico  riconosciuti  al
 personale in servizio.
    Tuttavia  la  citata  legislazione, che ha inciso sulla misura del
 controverso trattamento pensionistico incorre, ad  avviso  di  questo
 giudice, nel dubbio di costituzionalita' prospettato da parte attrice
 nella considerazione sia dell'esigenza della parita' di trattamento a
 parita'  di  situazioni  (art.  3  della  Costituzione), in quanto le
 distinzioni operate da  legislatore  ordinario  hanno  nella  maggior
 parte  dei  casi  irragionevolmente  seguito  il  criterio  meramente
 cronologico  della  data  di  cessazione  del  servizio,  sia   della
 corrispondenza  della  pensione,  quale  retribuzione  differita alla
 quantita' e qualita' del lavoro svolto (art. 36 della  Costituzione).
    In  particolare il principio di detta corripondenza, a prescindere
 dalla valutazione del rispetto dell'estremo limite di sufficienza per
 un'esistenza  libera  e dignitosa (pur esso garantito dal citato art.
 36) sembra sia stato ripetutamente violato,  nonostante  che  la  sua
 inderogabilita'  e precipua rilevanza sia stata recentemente ribadita
 nella sentenza della Corte costituzione n. 501 del 21 aprile-5 maggio
 1988,  nella  quale  e'  stata affrontata e risolta analoga questione
 riguardante personale di magistratura  ed  assimilato,  alla  stregua
 delle seguenti proposizioni:
       a)  "dal  carattere  retributivo  delle  pensioni deriva che il
 trattamento di quiescenza deve essere proporzionale alla quantita'  e
 durata  del  lavoro  prestato,  non deriva che tale trattamento debba
 essere necessariamente inferiore al trattamento di servizio attivo";
       b)  "la  proporzionalita'  ed adeguatezza non devono sussistere
 soltanto  al  momento  del   colloccamento   a   riposo,   ma   vanno
 costantemente  assiemate  anche nel prosieguo" mediante una "costante
 adeguazione del  trattamento  di  quiescenza  alle  retribuzioni  del
 servizio attivo";
       c)  "il  legislatore,  intervenuto con legge 17 aprile 1985, n.
 14, avrebbe dovuto  perequare  le  pensioni  dei  magistrati...  alle
 retribuzioni  disposte con la suddetta legge n. 425/1984 e non invece
 stabilire rivalutazioni  percentuali  di  pensioni  pregresse...  con
 conseguente vilnus degli artt. 3 e 36 della Costituzione".
    E'  vero  che  il  giudice  delle  leggi  non  ha  tratto  da tali
 affermazioni,  le  quali  appaiono   coerenti   alla   giurisprudenza
 costituzionale   gia'   formatasi   sulla   materia,  la  conseguenza
 apparentemente ovvia della dichiarazione di illegittimita'  di  tutte
 le norme contrastanti con gli indicati dettami.
    Cio'  e' pero' avvenuto nella considerazione del fatto che, per il
 personale di magistratura, il divario tra  pensioni  e  stipendi  era
 sorto   in   termini  non  piu'  ragionevolmente  giustificabili  con
 l'entrata in vigore della legge 6 agosto 1984, n. 425, e che la legge
 n.  141/1985 aveva attuato una certa funzione perequatrice fino al 31
 dicembre 1987; la pronuncia e'  percio'  stata  di  dichiarazione  di
 illegttimita'  degli  artt.  1,  3,  primo comma, e 6, della legge n.
 141/1986 nella parte in cui, in luogo degli aumenti ivi previsti, non
 dispongono   la   riliquidazione   della   pensione  sulla  base  del
 trattamento economico derivante dall'applicazione degli artt. 3  e  4
 della legge n. 425/1984, con decorrenza 1› gennaio 1988, a favore dei
 magistrati collocati  a  riposo  anteriormente  al  1›  luglio  1983,
 stabilendo   almeno   da  tale  data  una  sostanziale  ed  effettiva
 perequazione ed equiparazione di posizioni.
    Nella   fattispecie   in  esame  la  "radicale  innovazione  nella
 struttura della retribuzione",  introdotta  per  i  magistrati  dalla
 legge   n.  425/1984,  alla  quale  la  consulta  la  fatto  espresso
 riferimento in quanto non estesa a tutto il personale di magistratura
 in  quiescenza,  risale,  in forme sostanzialmente corrispondenti, ai
 piu' volte citati provvedimenti normativi del 1980 e del  1981  (vedi
 in particolare per il personale militare, nel quale e' da comprendere
 la Polizia di Stato ex art. 137 della legge n. 312/1980, gli artt. 16
 e  segg. del d.-l. n. 283/1981). Questi infatti prevedono lo sviluppo
 degli stipendi con otto classi biennali dell'8% da  computarsi  sullo
 stipendio   iniziale   di   livello   e   di  qualifica,  sulla  base
 dell'effettivo servizio prestato ed hanno in concreto determinato  il
 divario  tra  stipendi  e trattamenti di quiescenza preesistenti alle
 decorrenze da essi stessi fissate, senza che  sia  derivata  alc  una
 correzione quantitativamente riequilibratrice, da altri meccanismi di
 adegumanto che percio' sono da intendere coinvolti nella  censura  di
 non   conformita'   al   precetto   del   menzionato  art.  36  della
 Costituzione.
    D'altra  parte,  detto precetto, alla luce della motivazione della
 citata sentenza n. 501/1988 non  sembra  possa  essere  concretamente
 attuato  se  non  attraverso  una costante proporzionalita' (che puo'
 anche non voler dire  esatta  corrispondenza)  alle  retribuzioni  di
 servzio attivo.
    Questo  giudice  pertanto  ritiene  non  privo  di  fondamento  il
 sospetto di incostituzionalita'  dell'intero  sistema  normativo,  al
 quale  nella  specie  occorrre  far  riferimento,  sia  che si voglia
 individuarne nel 1› febbraio 1981 (decorrenze degli effetti del d.-l.
 n.  283/1981)  conformemente  alla  pretesa,  il  momento di concreta
 rilevanza dell'enunciato  contrasto,  sia  che  questa  possa  essere
 riportata  a  data  successiva  -  cosi'  come  disposto  dalla Corte
 costituzionale  riguardo  alla  riferita  vicenda  del  personale  di
 magistratura  -  nella  valutazione,  in via di fatto, di adeguamenti
 delle pensioni intervenuti successivamente alla data predetta.
    Non sembra abbia bisogno di ulteriore dimostrazione l'affermazione
 che il principio di collegamento alla quantita' e qualita' del lavoro
 prestato  non e' saldamente garantito ne' da episodici incrementi ne'
 da contingenti riliquidazioni specie se limitati  -  come  sempre  e'
 avvenuto  - a singole categorie di dipendenti pubblici, a particolari
 date di nascita delle posizioni di  quiescenza  e  con  aprioristiche
 decorrenze,  in  ragione prevalentemente, se non esclusivamente delle
 potenzialita' finanziarie degli enti erogatori.
    All'enunciato  vizio di legittimita' costituzionale non si sottrae
 l'art. 5 della legge 29 dicembre  1988,  n.  544,  in  quanto  per  i
 titolari  di  pensioni di cui all'art. 1 della legge n. 177/1976, che
 non abbiano beneficiato della riliquidazione ex art. 7 della legge n.
 141/1975  -  come  nel  caso  del  ricorrente - si limita a concedere
 integrazioni mensili lorde in misura  fissa  (con  le  decorrenze  1›
 gennaio  1988  e  1› gennazio 1990) non agganciate in alcun modo agli
 elementi obiettivi e di giustizia di cui e' sopra cenno.
    Non  rilevante e non chiaramente proponibile sotto l'aspetto della
 fondatezza, riguardo alla fattispecie  in  esame,  appare  invece  la
 questione di legittimnita' costituzionale della norma di cui all'art.
 3 del d.-l. 16  settembre  1987,  n.  379,  convertito  in  legge  14
 novembre  1987,  n.  468,  in  quanto  esso  riguarda  una  categoria
 determinata di dipendenti statali (dirigenti civili  e  militari)  il
 cui  sistema  retributivo  e'  regolato  da  una diversa normativa in
 relazione alla quale la riliquidazione della pensione e' dalla  norma
 stessa  prevista  in  favore  comunque  delle cessazioni dal servizio
 successive al 1› gennaio 1979.